Era un pomeriggio d'estate, faceva molto caldo, io e mia cuginetta Eloisa erano due ore che continuavamo a rincorrerci per la via. Lei è più grande di me e mi acchiappava sempre, e ogni volta che riusciva a prendermi mi faceva tanto di quel solletico che mi sembrava di morire. Mi piaceva sentirmi divorato dalle sue mani. «Mordimi», le urlavo, «mordimi, tu sei il lupo». Quel pomeriggio però scoprii una fonte di orgoglio che mi a-vrebbe cambiato la visione del mondo.
«Mi scappa», disse Eloisa. «Anche a me», risposi io. «Andiamo a farla nel garage». «Va bene». Mia cuginetta si tirò giù i pantaloncini e si accovacciò. La guardai stupito, era la prima volta che vedevo una femmina piscia-re. «Non la fai in piedi?», le domandai col pisellino già in mano. «Non posso». «Perché?». «Perché no», rispo-se lei stizzita. Cavolo, non lo sapevo, le bambine possono solo farla accovacciate come se covassero, invece io potevo farla come volevo, in piedi, sdraiato, a testa in giù. Quel giorno capii la differenza tra i maschi e le femmine. E per tutta la vita constatai che ci sono gesti quotidiani femminili, che gli uomini non faranno mai, e viceversa. Fu proprio un gesto a me sconosciuto a farmi innamorare la prima volta di una donna, e fui sempre ossessionato da quel gesto misterioso. Era Carnevale, mia madre e la sua migliore amica, infermiera anche lei, la Luisella, si stavano preparando per portarci alla sfilata dei carri, e avevano deciso di mascherarsi da in-fermiere sexy. «Che significa sexy?», avevo chiesto. «Che accorciamo il grembiule», aveva risposto lei. Che strana maschera, infermiera col grembiule accorciato. Io invece mi ero mascherato da cannibale. Avevo una gonnellina di stracci in vita, una maglia col collo alto color carne e i codini in testa. Ma tutti quegli elastici mi fa-cevano un male cane, mi tiravano i capelli. «Papà, dov'è la mamma?». «È in camera a cambiarsi, lasciala sta-re, adesso arriva e ci pensa lei ad allentarti quei cosi, non ti mettere le mani in testa!». Ma io non resistevo più dal fastidio. Come un gatto, senza fare rumore, mi avvicinai alla porta della camera da letto dei miei, sentivo che la mamma e la sua amica se la ridevano di gusto. Guardai nel buco della serratura e rimasi incantato. La Luisella si stava mettendo i collant, che sono delle calze, ma molto più lunghe. Aveva il camice tirato su fin so-pra la pancia, e col piede appoggiato al letto arrotolava le calze fra le mani, e quel velo luccicante fatto di nien-te le scivolava fra le dita come seta, poi dolcemente lo tirava su per la gamba, facendo dei movimenti che non avevo mai visto fare prima, e quel velo le aderiva alla coscia come una seconda pelle. Seguendolo scoprivo tutta la linea meravigliosa della sua gamba, lunghissima… una volta stesa la calza, aveva cominciato a darle dei pizzicotti qua e là. Mi vennero i brividi su tutta la schiena fin nei codini. È così che le donne si infilano i col-lant? Ma è meraviglioso. E per finire, quello fu il colpo di grazia, con le mani, dal piede fino a sotto l'inguine, aveva cominciato ad accarezzarsi lentamente tutta la superficie della gamba, facendo una leggera pressione sulla carne. Se la maestra mi avesse chiesto in quel momento che cosa vuoi fare da grande, le avrei risposto il Collant, perché il collant non è solo un oggetto, è un gesto misterioso. Chissà se anche le donne subiscono lo stesso fascino per quei gesti propriamente maschili, come aggiustarsi l'uccello nelle mutande?
